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La procedura sui licenziamenti collettivi si applica anche in caso di pensionamento del Datore di lavoro, sentenza della Corte di Giustizia Europea
Con la Sentenza dell’11 Luglio 2024 (C-196/23) la Corte di Giustizia Europea ha affermato che in caso di pensionamento del datore di lavoro e di successivo licenziamento collettivo dei lavoratori, deve essere comunque attivata la procedura di consultazione dei rappresentanti sindacali.
La Corte ha ricordato anzitutto che l’obiettivo principale della direttiva consiste nel far precedere i licenziamenti collettivi da una consultazione dei rappresentanti dei lavoratori e dall’informazione dell’autorità pubblica competente, ribadendo che secondo la sua giurisprudenza costante, sussiste licenziamento collettivo, ai sensi della direttiva suddetta, quando si verificano cessazioni di contratti di lavoro senza il consenso dei lavoratori interessati.
La Corte precisa che tale caso non può essere equiparato a quello del decesso del datore di lavoro – riguardo al quale essa ha in precedenza dichiarato che la direttiva non si applicava – poiché, a differenza del datore di lavoro deceduto, il datore di lavoro che va in pensione è, in linea di principio, in grado di condurre consultazioni dirette, tra l’altro, a evitare le cessazioni o a ridurne il numero oppure, comunque, ad attenuarne le conseguenze.
Consulta la sentenza dell’11 Luglio 2024 della Corte di Giustizia Europea a questo link: https://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf;jsessionid=B9A666E1C7FD8BFF89AC31654A6BF36D?text=&docid=288151&pageIndex=0&doclang=IT&mode=req&dir=&occ=first&part=1&cid=2503395
JOBS ACT, Sentenza della Corte Costituzionale: è legittima la tutela reintegratoria in caso di licenziamento disciplinare in luogo di sanzione conservativa
La Corte Costituzionale, con Sentenza n. 129, depositata il 16 luglio 2024, ha ritenuto non fondata la questione sollevata in riferimento ad un licenziamento disciplinare basato su un fatto contestato per il quale la contrattazione collettiva prevedeva una sanzione conservativa, a condizione che se ne dia un’interpretazione adeguatrice. Ossia deve ammettersi la tutela reintegratoria attenuata nelle particolari ipotesi in cui la regolamentazione pattizia preveda che specifiche inadempienze del lavoratore, pur disciplinarmente rilevanti, siano passibili solo di sanzioni conservative.
Consulta la Sentenza n. 129, depositata il 16 luglio 2024, della Corte Costituzionale a questo link: https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?param_ecli=ECLI:IT:COST:2024:129
JOBS ACT, Sentenza della Corte Costituzionale: tutela reintegratoria in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo privo di motivazione
La Corte Costituzionale, con Sentenza n. 128, depositata il 16 luglio 2024, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, del d.lgs. 4 marzo 2015 n. 23, nella parte in cui non prevede che la tutela reintegratoria attenuata si applichi anche nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale allegato dal datore di lavoro, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa il ricollocamento del lavoratore (cd. repêchage).
Licenziamento e modalità per il repechage: Ordinanza della Corte di Cassazione
Con l’Ordinanza n. 18904/2024, la Corte di Cassazione ha affermato la illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo se l’imprenditore, dopo aver dichiarato la soppressione del posto di lavoro di natura impiegatizia, non ha offerto al lavoratore la ricollocazione in altre mansioni, anche di natura operaia e ovvero a termine, pur se tale decisione è giunta dopo l’espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione ex art. 7 della legge n. 604/1966 avanti alla commissione istituita presso l’Ispettorato territoriale del Lavoro.
Seguendo l’indirizzo già espresso in passato, i Giudici hanno stabilito che l’impossibilità della ricollocazione va provata al momento del recesso. Il fatto che esistessero soltanto mansioni operaie non assolve il datore di lavoro che, prima di procedere al licenziamento, avrebbe dovuto offrire la soluzione alternativa rispetto alla quale, per il licenziamento, avrebbe dovuto acquisire il rifiuto dell’interessato o avrebbe dovuto dimostrare che il lavoratore non era in grado di svolgerle.